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Le foibe sono infossamenti naturali tipici delle aree carsiche, la loro natura rocciosa rende impossibile scavare al loro interno e quindi diventano ottimi covi di oggetti più o meno grandi. Per questo motivo vennero utilizzati durante la seconda guerra mondiale e nel dopoguerra per occultare cadaveri di soldati caduti soprattutto durante la pulizia di massa attuata dal movimento di liberazione sloveno e croato e dallo stato
jugoslavo capitanato da Tito. Talvolta vennero fatte precipitare persone ancora in vita, infatti i condannati venivano fatti allineare sull’orlo di una foiba e legati tramite un filo di ferro per poi essere colpiti dagli spari dei fucili e chi non moriva veniva comunque trascinato nell’abisso dai compagni. Non tutte le vittime delle stragi jugoslave perirono attraverso le foibe, la maggioranza infatti perse la vita nelle carceri o nei campi di concentramento jugoslavi. Tuttavia, dopo la scoperta delle prime salme all’interno delle foibe, si incominciò a individuare le stragi jugoslave con il termine foibe e infoibati diventarono tutte le vittime.
Tra gli infossamenti più famosi abbiamo la foiba dei colombi in Istria, all’interno della quale vennero trovati 84 cadaveri o il pozzo di Basovizza, oggi monumento nazionale.
Per quanto riguarda le vittime totali si parla di un numero indicativo che dalle 4.000 alle 5.000 vittime di cui circa 700 nella prima ondata di violenze (1943). Si parla inoltre di più di 10.000 arrestati in totale, molti dei quali non fecero ritorno.
PRIMA DELLE STRAGI
Il cosiddetto “confine orientale” durante i primi decenni del XX secolo era un miscuglio di culture la cui popolazione era mista, con zone a maggioranza slovena (soprattutto il nord della Gorizia e dell’Istria), zone a maggioranza italiana (nella parte est del Friuli, sulla costa istriana e nel centro di Trieste) e un’ultima parte croata (nel centro dell’Istria), erano inoltre presenti anche minoranze rumene, serbe, ebree, armene e ceche. A causa di questa grande varietà etnica il territorio del confine orientale era caratterizzato dalla presenza di diverse lingue (slavo, croato, friulano, italiano ecc.) che
si mischiavano formando numerosi dialetti, questo fenomeno veniva incentivato dalla grande presenza di matrimoni misti e dalla necessità di parlare una pluralità di lingue in un territorio multietnico. Nel 1941 il territorio della Jugoslavia venne conquistato dall’esercito italo-tedesco. La Germania occupò parte della Croazia e la Serbia, mentre l’Italia ebbe la Slovenia, la Dalmazia, la restante Croazia, l’Erzegovina e il Montenegro. Agli inizi dell’anno 1943 gli Italiani presenti sono circa 194.000.
LA PRIMA ONDATA DI VIOLENZE (1943)
L’8 settembre 1943, con l’armistizio di Cassibile in cui l’Italia firmò la resa agli Alleati, la Germania decise di occupare i centri strategici dell’Istria (Pola, Fiume e Trieste). Il resto dei territori venne occupato dal movimento di liberazione iugoslavo. Cominciarono quindi subito gli arresti di chiunque potesse ricondurre all’amministrazione italiana (carabinieri, guardie, ufficiali postali, dipendenti comunali…). Con il passare del tempo la situazione degenerò a tal punto che le persecuzioni cominciarono a riguardare tutti gli italiani proprietari terrieri che risiedevano nel territorio per poi passare a tutti i maggiorenni. La volontà fu di eliminare la classe italiana perché considerata un ostacolo per l’affermazione del comunismo di Tito.
In questo primo periodo a Pisino, cittadina Croata, i territori dell’Istria vennero ufficialmente annessi alla Croazia. A Pisino venne istituito un tribunale e la maggioranza degli arrestati vennero concentrati all’interno del castello della città, la cui maggioranza vennero uccisi nei mesi successivi.
LA SECONDA ONDATA DI VIOLENZE (1945)
La seconda ondata di violenze avvenne durante il mese di maggio dell’anno 1945 quando, con l’occupazione dell’esercito iugoslavo della Venezia Giulia, i soldati della repubblica di Salò vennero fucilati o deportati nei campi di lavoro dove la maggioranza morirono di fame e di stenti.
L'obiettivo di Tito era diventato quello di distruggere qualsiasi potere armato che non fosse il suo, la sua paura era che a Trieste si fossero formate organizzazioni armate con la volontà di ribellarsi, per questo motivo le deportazioni riguardarono anche alcuni membri della Guardia Civica di Trieste, l’unità di Guardia di Finanza e alcune
formazioni di partigiani italiani (nonostante il 30 aprile avessero combattuto contro i tedeschi per liberare Trieste).
Nel frattempo gli iugoslavi iniziarono una politica di arresti molti dei quali riguardarono la popolazione italiana: l’esercito nazifascista, gli esponenti del Comitato di Liberazione giuliano, i partigiani italiani che non accettavano la presa di potere della Jugoslavia, gli sloveni anticomunisti e addirittura tutti coloro che, pur non avendo un ruolo politico, avevano un orientamento filoitaliano. Gli arrestati venivano eliminati sul momento o deportati nei campi di concentramento, l’obiettivo era quello di eliminare chiunque potesse rappresentare una minaccia alla presa al potere del comunismo di Tito.
Durante queste due ondate di violenze ci furono sicuramente vittime slave e croate, ma quelle italiane furono nettamente superiori dal momento che la maggior parte degli italiani erano contrari all’annessione alla Jugoslavia e ciò li rendeva più insubordinati agli occhi degli invasori e quindi punibili.
IL GRANDE ESODO
Durante l’affermazione del regime di Tito (tra il 1944 e il 1950) nelle zone dell’Istria e della Dalmazia si verificò un’emigrazione di massa che riguardo principalmente i cittadini italiani. Si parla di un gruppo di persone che va dalle 250.000 alle 350.000 che si sentirono costrette ad abbandonare le proprie case per non sottostare al controllo Jugoslavo. La maggior parte dei profughi cercarono rifugio in Italia, soprattutto nelle zone a nord all’interno di quelle pochissime zone della Venezia Giulia che erano rimaste sotto il dominio italiano. Altri abbandonarono direttamente la patria per trovare una nuova vita in altri stati o addirittura altri continenti (le mete più gettonate furono la Nuova Zelanda, l’Australia e le Americhe). In quegli anni scomparve quindi la maggioranza della componente italiana sul territorio Jugoslavo che rappresentava quasi la metà della popolazione slovena complessiva, fu infatti impossibile colmare questa mancanza (sia dal punto di vista demografico che da quello sociale dal momento che tutti i ceti più elevati avevano lasciato il territorio). Ne conseguì un fenomeno di immigrazione di massa in Jugoslavi per far fronte all’ingente abbassamento demografico. Venne costituita una nuova società con pochi legami con il passato, caratterizzata da una completa rimozione dell’impronta che gli italiani avevano dato al territorio.
20 ANNI DI SILENZIO
In Italia si ricominciò a parlare di foibe e stragi jugoslave a partire dagli anni ‘70. La prima rilettura dei fatti che viene data risale agli anni ‘70 da parte degli storici Galliano Fogar, Giovanni Miracoli e Teodoro Sala. Gli studiosi hanno inserito gli avvenimenti delle stragi in un contesto storico più ampio analizzandone soprattutto le cause: durante il ventennio fascista infatti era stata i
dettagli una politica di snazionalizzazione nei confronti dei cittadini sloveni e croati, per non parlare delle violenze italiane a discapito della Jugoslavia che hanno quindi portato ad una brutale reazione.
Tuttavia questa analisi dei fatti manca di una componente importante, ovvero l’individuazione dell’obiettivo Jugoslavo: l’esercito di Tito puntava infatti più che ad una violenza gratuita ad un’eliminazione del dissenso che ha causato le atrocità precedentemente descritte. In conclusione la rilettura dei fatti più attendibile individua tre principali cause: la volontà di Tito di affermare l’ideologia comunità, il tentativo di rivalsa della nazione e un il tentativo di un riscatto sociale.
L'ISTITUZIONE DELLA GIORNATA DEL RICORDO
Il 30 marzo del 2004 con la legge n.92 è stata istituita la giornata del ricordo con l’obiettivo di “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo delle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Questa giornata cade ogni 10 febbraio, è stata scelta perché nel 1947 furono firmati i trattati di Parigi che assegnarono alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, Zara e la maggior parte della Venezia Giulia, tutti territori precedentemente italiani. Con l’istituzione di questa giornata sono state anche consegnate delle medaglie commemorative ai parenti di tutte le vittime delle stragi jugoslave.
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